Totila, il re dei Goti, e la Battaglia di Tagina (552 d.C.)

 di Leonello Bei


Ritratto di Totila (Francesco Salviati 1549 ca.) *

Non è mia intenzione fornire nuovi dati o nuove verità su fatti e luoghi dove si svolsero le ultime vicende che portarono alla fine della guerra gotica (535-553 d.C.) ma solo riportare alla memoria risultati di ricerche e documentazioni trovate nel tempo da studiosi nostri predecessori, che oggi sembrano completamente dimenticati. Fornisco alcuni dati storici essenziali per inquadrare il periodo di cui si tratta e dare al lettore punti di riferimento su cui basare le proprie valutazioni.
L’ultimo imperatore d’occidente a governare da Ravenna fu Onorio Flavio (420); a lui succede Romolo Augustolo (bambino) che viene deposto dall’invasore barbaro Odoacre. L’imperatore d’oriente Zenone nel 488 assegna l’Italia a Teodorico re dei Goti che, allevato e istruito alla corte di Costantinopoli, è ritenuto più capace e più fedele all’istituzione imperiale. Questi arriva, fa uccidere Odoacre e prende il potere. Alla morte di Teodorico gli succede il nipote Atalarico (bambino) con reggente la madre Amalasunta. Dopo la morte per malattia di questo, subentra un altro nipote di Teodorico, Teodato, che fa uccidere Amalasunta dopo averla imprigionata nel castello sul lago di Bolsena. Sdegnato e preso a pretesto questo fatto, Giustiniano, eletto nel frattempo imperatore, manda Belisario in Italia per cacciare i goti. Vista l’inefficienza di Teodato, i goti eleggono loro re Vitige, che dopo avere sposato Matasunta, figlia di Amalasunta, e consolidato così il suo potere, fa uccidere Teodato. La guerra iniziata nel 535 prosegue su tutto il territorio italiano. Nel 540, non sappiamo se dai goti o dai bizantini, vengono distrutte le città di Tifernum Metaurense (sant’Angelo in Vado), Tifernum Tiberino (Città di Castello) e Pitinum Mergens (Pole di Acqualagna). Belisario, presa Ravenna, cattura Vitige e lo manda prigioniero all’imperatore Giustiniano. Viene eletto re dei goti Ildibado, che dopo un anno, finisce assassinato e al suo posto viene eletto Erarico che dura solo cinque mesi per essere poi ucciso in una congiura, dopodiché la corona reale viene data a Totila, nipote di Ildibado e comandante del presidio di Treviso. La guerra prosegue fino al 549 quando Belisario viene richiamato a Costantinopoli e riprende nel 551 da Narsete nominato nuovo comandante dell’esercito romano; questi nella battaglia di Tagina avvenuta nell’estate del 552, uccide Totila. A lui succede Teia che nel giro di un anno è sconfitto e ucciso a Lucera in Campania. È l’anno 553, dopo diciotto anni di stermini, distruzioni, pestilenze e carestie, finisce la guerra gotica.
Dunque, la battaglia decisiva di questa guerra è sicuramente quella di Tagina, dove assieme al loro re, vennero uccisi circa settemila goti. Di questa parlerò, presentando tutta la documentazione di cui sono venuto a conoscenza.
L’impero romano, nel suo disfacimento, aveva lasciato una grandissima impressione di sé, tutti vi facevano riferimento, i goti con Odoacre prima e Teodorico dopo, non si dichiararono mai padroni d’Italia, ma sempre vassalli e succubi dell’imperatore d’oriente. Non furono mai capaci di creare strutture statali indipendenti dagli ordinamenti romani. I greci stessi, pur essendo ormai la Grecia il cuore dell’impero, continuarono a chiamarsi romani. La guerra gotica scritta da Procopio di Cesarea in quattro volumi in lingua greca, affascinò nel tempo i vari storici che tradussero l’opera: Leonardo Bruni a Foligno nel 1470 in latino, Benedetto Egio da Spoleto in italiano stampata a Venezia nel 1444, Giangiorgio Trissino nel 1547 in riferimento alle traduzioni creò addirittura un suo poema epico in ventisette libri; ma ancora in tempi recenti si studia l’opera di Procopio. Nel 1963 viene riscritta da Haury Wirth a Lipsia con traduzione di Filippo Maria Pontani del 1981. Per ultima, edita da Garzanti, nel 2010, è la traduzione di Domenico Comparetti.
Nel 1506 il cardinale Raffaele Maffei ne scrisse nel suo libro Commentariorium Rerum Urbanorum. Lavorando a Roma il prelato poté attingere anche ad altri autori contemporanei di Procopio aggiungendo particolari non riferiti nelle altre traduzioni. Questi sono: La Storia Ecclesiastica di Evagrio Lo Scolastico che va dal 431 al 594, La Cronografia di Giovanni Malala, Il Trattato sulle Magistrature di Giovanni Lido e La Cronografia di Psello scritta a Costantinopoli verso il mille. Raffaele Maffei dice: “Totila proveniente dalle sorgenti dell’Arno, attraversò tutta la provincia casentinese e arrivò nella Val Tiberina, dove per le alture sovrastanti a Città di Castello percorrendo impervie vie valicò l’Appennino e riuscì al Metauro”. Quindi prosegue:
Iuxta Candiani ripam, viae Flaminiae pars cernitur saxumque CC pas. larg. et VIII alt. perforatum ac pervium curribus, Forulum ex ea causa appellatum. Post pontes occurrunt, quorum unus ripas Metauris alter Flaminia congiungit ad hunc planities illa celebris ob praelium inter Totilam et Narsetem commissum, in quo Narses victor, Totilam occubuit et Callii, quod non longe abest, sepelitur.”
Propongo la traduzione:
“Arriva per le sponde del Candigliano alla via Flaminia che è sbarrata da un monte di pietra che è stato forato per una lunghezza di 200 passi e un’altezza di 8, dove il passaggio è impervio e per questa causa è chiamato Foro. Dopo si passano due ponti uno sulla riva del Metauro e l’altro che congiunge la Flaminia a questa pianura che è celebre per la battaglia avvenuta tra Totila e Narsete. Nella quale Narsete fu vincitore e Totila sconfitto fu ucciso e a Cagli, che non lontano si trova, fu seppellito.” 
Prima di entrare nel merito della battaglia, voglio precisare che la strada percorsa dai goti per le alture sopra Città di Castello non è altro che la strada tracciata anticamente dai piceni, conosciuta da tutti in quei tempi, che passava per Apecchio, scendeva nel Candigliano a Offredi, quindi, seguendo il corso del fiume verso Piobbico, andava fino al Furlo a congiungersi con il Metauro. (per approfondimenti consultare Le Origini di Apecchio di Leonello Bei).
Da questo scritto risulta chiaro che Totila per incontrare il nemico oltrepassò il Furlo. Secondo Procopio, Narsete proveniva da Ravenna-Rimini seguendo la strada consolare Flaminia, ma prima di arrivare al Furlo, deviò verso sinistra e si fermò in quella che oggi viene chiamata piana del Barco (IGM foglio 109), posta sotto il castello di Pagino. Qui si accampò e schierò le sue truppe per affrontare il nemico. Il luogo corrisponde alla descrizione che ne fa Procopio:
La località era circondata da alture, era impossibile che alcuni passando da dietro, circondassero l’esercito dei romani, salvo che da una parte ed aveva proprio in questo fianco aperto una piccola collina percorsa da un sentiero e parallelamente ad essa scorreva un torrente.
Prosegue Procopio: “In questo luogo erano presenti vecchi cumuli di ossa di soldati galli uccisi e bruciati dal console Camillo (Marco Furio) nel 390 a.C. chiamati Busta Gallorum.” Qui nella zona effettivamente erano presenti cumuli di cadaveri bruciati, ma erano quelli dei cartaginesi di Asdrubale uccisi da Livio Salinatore e Claudio Nerone nella Battaglia del Metauro del 245 a.C.. Procopio fa un po’ di confusione, i galli erano stati sterminati da Camillo, ma nei pressi di Roma. Seguendo sempre il racconto di Procopio, Totila dopo aver fissato il suo campo a circa cento stadi (15 Km) da qui, lungo la strada che aveva percorso per arrivare, si presenta per dare battaglia. Prima dello scontro avvengono vari episodi curiosi che tralascio di raccontare per dire che Narsete, da buon stratega, fa occupare la collinetta poco prima citata da cinquanta arcieri per poter comodamente colpire i nemici dall’alto. Lo scontro è disastroso per i goti che sbandati e uccisi a centinaia, scappano disordinatamente in direzione del loro accampamento, inseguiti dai romani. Qui ci soffermiamo per fare citazione degli studiosi che con le loro ricerche sostengono questo luogo. È sempre Raffaele Maffei, detto il Volterrano, a descrivere dove avvenne il primo scontro e dice: “Ora (1506) in quello stesso luogo vi è il parco cinto di mura fatto dal duca Federico e ripieno di ogni specie di animali”, sulla famosa collinetta sarebbe sorta la palazzina di caccia di questa riserva ducale.

Piano del Barco dove sorge la palazzina di caccia del duca Federico
Filippo Moisè nel suo lavoro Dominii Stranieri in Italia del 1839, racconta la battaglia con dovizia di particolari e asserisce che avvenne a Pagino tra Urbino e Fossombrone. Anche l’abate Vincenzo Maria Cimarelli in Istorie dello Stato di Urbino del 1642, parla di due battaglie combattute presso il fiume Metauro, la prima dove venne sconfitto Annibale, e l’altra “al Forlo dove con Totila mancò il gotico regno”. È logico pensare che i goti scappando disordinatamente lo facessero verso il passo del Furlo da dove erano arrivati, vennero raggiunti e impegnati di nuovo in battaglia nel Piano di Lentagio (Acqualagna) dove furono letteralmente sterminati, seimila finirono uccisi, un migliaio si arresero ma poco dopo furono passati per le armi, i loro corpi abbandonati in pasto agli animali. Da questo fatto deriva il nome del luogo di Acqualagna, la pianura e il letto del fiume erano pieni di morti e di feriti che si lamentavano e l’acqua che scorreva era rossa di sangue, da qui il nome acqua che si lagna. 

Mappa nella quale è evidenziato il Pian di Lentagio
Totila, ferito da una freccia, scappò per la strada che costeggia il Candigliano per ottantaquattro stadi (circa 12 Km) fino a un luogo chiamato Capra dove sfinito e dissanguato morì. La direzione presa e la distanza percorsa coincidono perfettamente con quanto racconta Procopio; anche a sostegno di questo secondo scontro abbiamo dei sostenitori a produrre documentazione. Il primo è il Dizionario Melzi del 1920 che al vocabolo Acqualagna dice: “Acqua Battaglia, nome che deriva dalla sanguinosa battaglia del 552 in cui Narsete sconfisse Totila.” Troya Carlo nel suo Codice Diplomatico Longobardo del 1853 sostiene che la località denominata Capra, era circa dieci miglia lontano dal luogo della battaglia che era Piano di Lentagio. Paolo Giovio (1483-1552) ne I Commentari degli Uomini Illustri parlando di Totila dice: “Re dei goti, rovinati da Narsete appresso a Caio (Cagli)”. Bernardino Baldi descrive molto bene l’avvenimento nel suo Encomio della Patria del 1604 e dice “Quella giornata accadde nel ducato di Urbino tra Acqualagna e Cagli”. Chi ci dà dei particolari in più è l’illustre storico di Cagli Francesco Bricchi nei suoi Annali della Città di Cagli del 1641:
“Narsete in quei gravi bisogni hebbe l’apparitione di Maria sempre Vergine Madre di Dio, e da quella fu istrutto del tempo opportuno a combattere per la vittoria e ch’Ella gl’haverebbe dato il segno di mettersi in battaglia, perilché il Campo Cagliese è stato favorito dal cielo a dover essere spettatore della funesta tragedia dell’estintione dei Goti e della Regina de’ gl’Angeli  fatta Duce d’eserciti per nobile trionfo”.
Il Bricchi chiama a sostegno Carlo Passi che afferma: “Narsete eunuco con grosso e forte esercito prese giornata contro i goti nel territorio cagliese e fu nel piano di lentagio” e precisa il significato di Letagio come luogo pregno di sangue e di morte della gente gotica. Da questa spiegazione etimologica si potrebbe dedurre che possa derivarne il nome Tagina. Sempre il Bricchi, dando alcuni punti di riferimento, aggiunge che nei pressi del luogo della battaglia scorreva il fiume Bianco. Questo altro non è che il Candigliano, dal significato di candido, che un tempo si chiamava Gauno che vuol dire bianco e spumeggiante e parlando dei Busta Gallorum aggiunge “Io co’ proprii occhi ho veduto nel contiguo Piano di San Lazzaro cumuli di ceneri e ossa con stinchi de’ giganti (galli)”.
Ritornando alla devozione di Narsete per Maria Santissima è necessario fare riferimento alla Storia Ecclesiastica di Evagro Scolastico. Qui si racconta che il generale rendeva omaggio al culto della Santa Vergine con suppliche e preghiere, alle quali faceva partecipare tutti i suoi ufficiali, a tal punto che Ella gli manifestava con chiarezza il tempo in cui doveva fare la guerra; cosicché non attaccava mai battaglia senza avere ricevuto da Lei qualche segno. Il cardinale Cesare Baronio nei suoi Annales Ecclesiastici del 1588 aggiunge che alla vigilia di questa battaglia la Madonna apparve a Narsete per rassicurarlo sull’esito favorevole dello scontro. Come ringraziamento per la vittoria in adempimento a un voto che aveva fatto, il potente generale avrebbe fatto costruire come tempio mariano, l’abbazia di San Vincenzo al Furlo scegliendo il luogo a metà strada tra i due campi di battaglia dove forse prima vi era un tempio pagano. Decine di anni dopo la fine della guerra gotica, in Italia si erano insediati i longobardi, si dice inseriti proprio dal generale Narsete; questi pur di arricchirsi facevano razzia di reliquie di santi da poter rivendere a caro prezzo ai vescovi di tutta Europa. Gli abitanti di Bevagna, per salvare i sacri resti del loro santo vescovo Vincenzo, non trovarono di meglio che trasportarli nella nuova abbazia del Furlo, perché essendo protetta da Narsete, era intoccabile, divenne così Abbazia di San Vincenzo. Le ricerche sull’Abbazia sono state fatte da Maria Luisa Neri, Giovanni Cangi, don Corrado Leonardi e dal cardinale Pietro Palazzini.
Il vero nome del re dei goti era Balduilla, soprannominato Totila che significava l’immortale. Purtroppo per lui non era vero, come abbiamo visto morì a Capra; questo luogo è identificato come Caprareccia tra Acqualagna e Piobbico. Dice il cardinale Maffei: “Da qui venne caricato su un cavallo e condotto a Cagli dove fu sepolto”. Procopio aggiunge: “Che Totila fosse morto, i romani lo seppero da una donna di origine gotica che lo riferì ad essi e mostrò il sepolcro, increduli scavarono la tomba, ne trassero fuori il corpo, lo spogliarono delle vesti insanguinate e di nuovo lo seppellirono nella terra”. Riferito poi a Narsete quanto era accaduto, questi aggiunse una corona reale alle vesti insanguinate e le spedì a Costantinopoli come prova della morte. Riguardo la sepoltura di Totila a Cagli è opportuno fare delle considerazioni. Alcuni anni or sono, durante la ristrutturazione del palazzo comunale di Cagli si scoprirono dei cunicoli chiusi nel sottosuolo del palazzo stesso. Gli scavi furono seguiti dalla facoltà di Archeologia di Urbino, la quale portò alla luce alcune tombe definite gotiche che opportunamente restaurate si possono ancora vedere. Tra le quattro-cinque murate con sepoltura cumulativa ve ne era una singola in cui il corpo era stato solamente interrato. In quella occasione nessuno si pose delle domande, oggi impegnati sul quesito della sepoltura di Totila è necessario trarre alcune considerazioni. Totila da Caprareccia venne portato a Cagli per essere sepolto assieme alla sua gente in quello che evidentemente era un cimitero gotico. La tomba è solo interrata, perché in quel momento non c’era il tempo di costruirgli un sepolcro degno della sua persona; i bizantini erano a poca distanza ed era necessario scappare. Assieme alle ossa non c’erano armi, armature o segni d’identificazione, perché il corpo era stato disseppellito per il riconoscimento, quello che aveva addosso gli era stato tolto. Lo scheletro di notevoli dimensioni per quei tempi, apparteneva ad un uomo alto poco meno di due metri, Totila ci viene descritto come un guerriero alto e possente. Da queste considerazioni, pur non avendo prove concrete, si potrebbero trarre le conclusioni che la tomba del re dei goti, sia tuttora nei sotterranei del palazzo comunale di Cagli.
Negli scavi romani di Fossombrone effettuati nel 2014 sono venute alla luce almeno sessanta tombe riconducibili al periodo gotico, posizionate al di sopra dei reperti romani, quindi più recenti. Essendo tombe cumulative è stata fatta l’ipotesi che siano dovute ad una epidemia. Alla luce di queste nuove conoscenze potrebbero invece essere le sepolture dei soldati romani morti nel primo scontro della battaglia avvenuta a Pagino e portati lì per essere collocati assieme alla propria gente.

La ricerca continua…



© 2015 by Leonello Bei - Tutti i diritti riservati


(*) By Francesco Salviati (Musei Civici di Como) [Public domain], via Wikimedia Commons

1 commento:

  1. Caro Leonello, questa tua ricostruzione, molto più ricca e articolata di quanto a suo tempo ci esponessi la tua teoria, oggi appare convincente grazie alla grande quantità di prove documentarie da te portate. In quanto allo scheletro del guerriero ritrovato nella tomba da solo, si potrebbe fare un esame al radiocarbonio in grado di datare il personaggio e magari anche gli altri per capire se risalgono tutti allo stesso evento della battaglia.

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