Don Ubaldo Bartoccioni (1882-1970), ultimo parroco di San Vitale (Cagli), prete modernista in esilio

di Paolo Faraoni




Scrivendo su don Ubaldo, non so ancora perché ho sentito il bisogno di ripercorrere i passi di questo prete e di conoscere un po di più della sua vita. Per don Mariano Mariotti era la stessa passione per i fossili del Bosso che ci univa con un filo invisible, ma per DON UBALDO?
Quando tragicamente  mori nel 1970, si sospettò che la sua morte fosse dovuta ad una rapina finita male, ma le successive indagini non portarono a nessuna conclusione. Molte storie, avvenimenti, chiacchere accompagnarono la vita di questo prete, ma quello che rimane  nella mia memoria, sono poche ma nitide cose. Lui era un grande cacciatore alla lepre di qui il soprannome “don Leprin”, e molto amico di mio padre, non tanto pergli affari di chiesa, ma soprattutto per la comune passione alla caccia alla lepre.  Ero ancora piccolo…sette otto anni e mio padre mi portava spesso con lui a trovare don Ubaldo e di queste visite ho ancora alcuni ricordi. La salita alla chiesa e alla canonica, il prato circostante sempre verde e ben curato, e  vedere oggi lo stato  di abbandono di quella che era una chiesetta ben tenuta e amata da tutti non fa piacere.


                                         
Arrivati con l’ape o con la vespa, davanti alla canonica, don Ubaldo si accorgeva subito di noi, perchè era sempre al lavoro nel vicino orto, e ci riceveva con gentilezza e piacere; lui piccolo e magrolino, che parlava  con poche inflessioni dialettali e che non ho mai visto in abiti talari, ma solo con pantaloni e camicia da lavoro. Ci invitava in cucina e li seduto al tavolo, aspettavo con ansia l’uscita dell’uccellino (ogni quarto d’ora) dall’orologio a cucù del prete,  che era posizionato sul muro screpolato vicino al camino, dove troneggiava ben esposta una vecchia doppietta da caccia. Altra cosa strana di Don Ubaldo, erano le gabbie dei conigli senza il fondo, che spostava nel prato dove l’erba era più bella e i conigli mangiavano direttamente da dentro la gabbia.  Lui era molto gentile e mentre a mio padre serviva  l’ottimo vinello fresco di cantina, tra un discorso di cani segugi e appuntamenti di caccia, a me riservava sempre una fetta di pane casereccio con il miele delle sue api.
Al ritorno verso casa, mio padre mi raccontava  che don Ubaldo era un prete intellettuale, colto e intelligente, che pubblicava su molte riviste poesie e scritti vari e che l’avevano relegato a San Vitale perché era stato un prete ribelle, punito ed emarginato per avere delle idee diverse da quelle consentite nella chiesa di allora.
Prete ribelle? Prete punito? Prete emarginato, tutte domande rimaste senza risposta da allora….e  anche negli anni a seguire,  quando visitavo o passavo vicino a quella chiesa sempre più abbandonata e a quei ricordi  del pane casereccio e  miele e del cucù.
Cercare di  avere  qualche notizia in più su don Ubaldo prete ribelle, era un pensiero ricorrente e una idea che ogni tanto mi balenava in testa e quindi oggi, nell’era di internet ho iniziato questa ricerca. Purtroppo trovare le sue poesie, disperse nelle riviste di allora, non è stato possibile, ma ho trovato il suo libro dal titolo Ite missa…est pubblicato nel 1920 e presente in una bibblioteca di Torino. Mi sono fatto mandare una copia e da li è iniziato un percorso interessante perché finalmente potevo indagare nei pensieri di don Ubaldo.
                                   
                                                   

Appena mi sono arrivate le copie del libro, ad una prima occhiata, ho subito capito che sarebbe stata una ricerca impegnativa. Bisognava ripercorrere la storia della chiesa degli ultimi anni dell’800 e dei primi anni del 900, e del movimento “rivoluzionario modernista” almeno per avere una idea di quello che trattava il libro di don Ubaldo, e di capire i motivi del perché fosse stato punito ed emarginato nella sperduta parrocchia di San Vitale.
Pubblicato nel 1920 quando don Ubaldo aveva 38 anni può considerarsi il suo testamento spirituale, il filo conduttore di tutta la sua vita con tutte le delusioni e amarezze già ben espresse nel titolo Ite, missa est… e che condizioneranno tutti gli eventi, positivi e negativi della sua vita religiosa e non.
Questo naturalmente era un motivo in più, per dimostrare a me stesso, quanti sbagli si fanno a volte nel dare giudizi o nel condannare persone ed atteggiamenti, senza conoscere le motivazioni profonde il pensiero, la vita, i sentimenti di chi li compie. Quanto siamo superficiali, e frettolosi in tutti i nostri giudizi, sia in quelli positivi e in quelli negativi, e quanti errori commettiamo continuamente.

Parlando del libro, la prima analisi da fare è riguardo allo pseudonimo BAR-JONA utilizzato dal Don Ubaldo. Considerato il fatto che il libro tratta del movimento modernista, perseguitato a seguito di una enciclica Papale, che portò addirittura alla scomunica e all’allontanamento dalla chiesa dei principali seguaci, è normale pensare che lo pseudonimo fosse necessario per evitare rappresaglie.  Il nome BAR-JONA utilizzato è quello dell’appellativo aramaico di “bandito, latitante, partigiano, ribelle alla macchia”. Riguardo al titolo Ite, Missa est… è la formula latina come congedo rituale della messa: la messa è finita andate in” pace, o come significato originario: l’adunanza è sciolta. In questo caso, Ite Missa est… è da interpretare in quello che l’autore scrive nell’ Avvertenza:
L’autore di queste pagine, visse il movimento modernista con passione ardente quanto silenziosa. Divenuto sacerdote e parroco, allo scopo di penetrarne l’intima sostanza, l’andò sviluppando sotto forma di lettere ad un amico, rifacendosi dalle vecchie posizioni di prete cattolico, fino alle ultime conseguenze, alle ultimissime, con coraggio uguale a dolore e stupore crescente. Perocchè incrinature dell’anima e svolgimento dialettico della dottrina gli fecero prima balenare a sprazzi, e poi comprendere senza scampo, che pure il Modernismo è (fu) un ritmo di divenire costante.
 Quindi Ite, Missa est…. sta a significare la fine della spinta del Modernismo e delle sue idee innovative, soprattutto la fortissima contrarietà intrapresa dalla chiesa con l’ enciclica ”PASCENDI DOMINICI GREGIS” DI S. S. SAN PIO X "SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO del 1907.
Il sottotitolo Lettere di un prete…futurista  prende spunto dal libro Lettere di un prete modernista di Ernesto Buonaiuti (1881-1946) che è stato un presbiterostoricoantifascistateologoaccademico italiano, studioso di storia del cristianesimo e di filosofia religiosa, fra i principali esponenti del modernismo italiano. Scomunicato e dimesso dallo stato clericale dalla Chiesa cattolica per aver preso le difese del movimento modernista, fu prima esonerato dalle attività didattiche, in base ai Patti Lateranensi tra Chiesa e Regno d'Italia, e poi privato della cattedra universitaria per essersi rifiutato, con pochi altri docenti (meno di venti), di giurare fedeltà al regime.
Pubblicato anonimo nel 1908 e ripubblicato con l’indicazione dell’autore solo nel 1948 dopo la morte del Buonaiuti, è uno dei documenti più importanti del “modernismo” cattolico italiano. Censurato e represso dalle autorità ecclesiastiche, il modernismo rappresentò, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, il tentativo di emancipazione da prospettive e sistemi di valori di tipo assolutistico, e di affermazione delle scienze legate alle metodologie sperimentali. Messo al bando dall’enciclica di Pio X Pascendi Dominici Gregis che additava il modernismo come “sintesi di tutte le eresie” coloro che vennero considerati “modernisti” (oltre al Buonaiuti, in Italia, Romolo Murri e Salvatore Minocchi) subirono scomunica e allontanamento dagli incarichi di insegnamento e pastorali. Lo schierarsi dei modernisti piuttosto a fianco dei socialisti che con monarchici e liberali, portò per reazione al cosiddetto “Patto Gentiloni” che in seguito alle elezioni del 1913 ridisegnò la posizione dei cattolici e del potere ecclesiastico nell’ambito della vita politica italiana. Scorrendo ancora la prima pagina del libro troviamo la citazione del Mazzini “nulla  è più fatale  a una istituzione che la crescente coscienza della sua inutilità” mi sembra evidente che in questo caso l’istituzione si riferisce alla istituzione ecclesiastica così come si trovava in quegli anni, cioè fissa e immobile negli anni, senza aperture, e comprensioni dei tempi che stavano cambiano con nuovi moti sociali, e che quindi inutile, inattuale, inadatta a gestire le spinte di rinnovamento che i tempi proponevano. Anche la scelta del Mazzini, non è casuale, repubblicano convinto, ma che dopo la nascita dello Stato unitario italiano per cui aveva lungamente combattuto, fu relegato e condannato dai tribunali dell’Italia monarchica alla latitanza fino alla morte. Il libro di Don Ubaldo è stato pubblicato dalla casa editrice “Associazione Italiana dei Liberi Credenti” alla cui fondazione partecipò anche Gaetano Conte (1859-1917) pastore della Chiesa Metodista Episcopale, da cui si dimise nel 1911 per poi gravitare intorno al protestantesimo liberale attivo in quegli anni a Firenze.
In quegli stessi anni si dedicò inoltre alla fondazione dell'Associazione Italiana dei Liberi Credenti e della rivista «La Riforma Italiana», sulle cui pagine scrissero autori come Romolo Murri, il filosofo 
Enrico Caporali e l'autrice di area modernista Luisa Giulio Benso.
 
Qui sopra immagini del degrado in cui versa la  chiesa di San Vitale.
             
               
      
 Nelle prime pagine del libro nella  nota riferita alla casa editrice che lo pubblichò nel 1920 troviamo già senza inoltrarci poi nella lettura di tutto il libro, le motivazioni che poi relegarono Don Ubaldo, prete visonario, modernista,  ai margini della chiesa di allora.
 La  “Associazione Italiana dei Liberi Credenti”   editrice di questo volume è sorta già da alcuni anni per raccogliere in una opera pratica concorde di educazione e di propaganda   tutti coloro i quali, appartenendo o no, all’una o all’altra confessione religiosa, vogliono promuovere un risveglio di sincera ed intima religiosità nel popolo italiano lottando contro ogni forma di settarismo chiuso, di intolleranza, di degenerazione della religione in politicantismo; e diffondere una più larga e serena e comprensiva cultura religiosa. Essa pubblica una rivisa, la Riforma Italiana, la quale è entrata con il 1920, nel suo nono anno di vita, contrassegnata da una perfetta regolarità nella pubblicazione mensile. La rivista è sorta per sostenere in Italia la causa della libertà religiosa, e non dal punto di vista meramente giuridico e politico, ma come ritorno alla interiorotà e alla sincerità dello spirito religioso. Essa non fa quindi questioni dogmatiche; segue e segnala i progressi della critica filologica, storica e filosofica per promuovere la cultura religiosa,; combattere i vizi morali: insincerità, intolleranza, superstizione, speculazione politica sulla fede, passività ed abitudine nella vita religiosa; che sono mali mali di tutte le fedi non intimamente vissute. Cerca l’unità spirituale degli uomini, della quale oggi è così dolorosamente intenso il desiderio e il bisogno, nella pratica dei valori cristiano di sobrietà, purezza, e amore. 
Prima di inizire la lettura e analisi del libro occorre riprendere in considerazione l’Avvertenza  di Don Ubaldo che ci racconta  come l’immaginario autore di queste pagine sia stato un  ragazzo che visse il movimento modernista con passione ardente, diventato parroco, per meglio intenderlo, e penetrarne l’intima sostanza, lo sviluppò sotto forma di lettere a un amico. Dichiarata la guerra italiana, si arruolò ma ebbe la sfortuna di morire sul Carso. Soltanto a guerra finita il suo caro amico, devoto alla sua memoria,  curò e stampò le lettere. Quindi occorre fare un  breve accenno a quello che fu il modernismo.
Cos’è il Modernismo? Possiamo definirlo una crisi di crescita nell’organismo della Chiesa cattolica. Negli anni a cavallo tra ’800 e ’900, da più parti venne avvertita l’urgenza di superare la grave frattura che era venuta progressivamente a crearsi tra il pensiero cattolico e la cultura moderna. Era una frattura che riguardava ambiti molteplici: la filosofia, la religione, la scienza, la politica e che sembrava rendere non più comunicabile al mondo moderno la fede cristiana.

Molti intellettuali cattolici si sentirono perciò chiamati ad un’opera di conciliazione tra le conquiste della modernità e la tradizione cattolica. Di conseguenza si misero volenterosamente all’opera. Come purtroppo accade spesso in situazioni simili, i tentativi di questi studiosi non sempre ebbero risultati soddisfacenti per la fede cattolica. Lo sforzo di dialogare con la nuova sensibilità filosofica e scientifica dell’epoca moderna, introducendone le novità nella fede cristiana, approdò, in una certa misura, a compromettere l’identità della fede stessa. Si trattava di un pericolo a cui il Pontefice, che in modo tutto particolare è chiamato a custodire l’integrità della fede ecclesiale nella Rivelazione cristiana, non poteva evidentemente rimanere indifferente. L’intervento inteso a denunciare gli errori presenti in questi tentativi di «modernizzare» la tradizione cattolica (di qui il termine «modernismo»), si concretizzò appunto nell’enciclica "di Pio X "Pascendi Dominici Gregis", pubblicata con la data dell’8 settembre 1907. Si tratta di uno dei pronunciamenti papali più importanti e decisivi non solo del pontificato di Pio X ma dell’intero secolo scorso. Si tratta anche di uno dei testi magisteriali più controversi: esaltato senza riserve nella prima parte del ’900; criticato (se non vilipeso) successivamente. In realtà la valutazione negativa che molti oggi riservano alla "Pascendi" è probabilmente frutto di un pregiudizio: essa viene spesso citata come un documento con cui il «bieco potere ecclesiastico « stroncò senza pietà le voci profetiche che si appellavano ad un rinnovamento della Chiesa. Le cose non stanno certamente così. Se da un lato va detto con chiarezza che l’applicazione concreta delle direttive disciplinari indicate dalla "Pascendi" e da successivi documenti fu, in molti casi, eccessiva, occorre - d’altro lato - riconoscere con altrettanta chiarezza che l’enciclica di Pio X non dava corpo a delle fantasie. Il Papa, infatti, si trovò realmente ad affrontare posizioni che, pur in buona fede, proponevano soluzioni riduttive e inaccettabili su temi assolutamente fondamentali e decisivi per la fede della Chiesa. 
I punti nodali in questione 
Le tesi principali condannate

Le principali tesi dei modernisti condannate da Pio X nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis erano:

    * la Rivelazione non è davvero parola di Dio e neppure di Gesù Cristo, ma un prodotto naturale della nostra sub-coscienza;
    * la Fede non è un fatto oggettivo ma dipende dal sentimento di ciascuno;
    * i Dogmi sono simboli dell'esperienza interiore di ciascuno; la loro formulazione è frutto di uno sviluppo storico;
    * i Sacramenti derivano dal bisogno del cuore umano di dare una forma sensibile alla propria esperienza religiosa, non furono istituiti da Gesù Cristo e servono soltanto a tener vivo negli uomini il pensiero della presenza del Creatore;
    * il Magistero della Chiesa non ci comunica affatto la verità proveniente da Dio;
    * la Bibbia è una raccolta di episodi mitici e/o simbolici, e comunque non si tratta di un libro divinamente ispirato;
    * gli interventi di Dio nella storia (quali miracoli e profezie) non sono altro che racconti trasfigurati di esperienze interiori personali;
    * il Cristo della Fede è diverso dal Gesù della storia; la divinità di Cristo non si ricava dai Vangeli canonici;
    * il valore espiatorio e redentivo della morte di Cristo è frutto della teologia della croce elaborata dall'apostolo Paolo;


La questione dell’esegesi biblica.
Fu proprio la questione dell’esegesi biblica a innescare la crisi modernista. Alcuni esegeti (in particolare Loisy) introdussero anche in ambito cattolico l’esegesi scientifica (o critica storica) applicata alla Bibbia, già da tempo praticata in ambito protestante. A questi studiosi la "Pascendi" rimprovera un uso dell’esegesi scientifica viziato da presupposti filosofici non compatibili con la fede cristiana. Questi presupposti (precisamente l’«agnosticismo» e l’«immanentismo» tipici del positivismo di fine ’800), rifiutando radicalmente il carattere soprannaturale del testo biblico, conducono l’esegesi scientifica a conclusioni completamente diverse rispetto a quelle trasmesse dalla fede. Un testo biblico dice cose del tutto differenti se esaminato da un esegeta scientifico o letto da un credente. Per salvare sia la scienza che la fede, gli esegeti modernisti proponevano una radicale spartizione di campi: una cosa è la scienza, un’altra è la fede; una cosa è l’esegesi scientifica, un’altra è l’esegesi teologica. Ma qual è il guaio di questa soluzione? Secondo la mentalità positivistica del tempo (presente anche nel pensiero modernistico), solo l’esegesi scientifica dice cose vere, sicure e verificabili. La lettura di fede invece non è reale: è una lettura puramente soggettiva, al limite fantastica, frutto di un vago e imprecisato sentimento religioso.
 La questione della rivelazione
La questione dell’esegesi faceva dunque emergere il problema della fede, ridotta, dal pensiero modernistico, a semplice sentimento soggettivo. Strettamente collegata al tema della fede, appare la questione della rivelazione. Nella posizione dei cosiddetti «modernisti» l’enciclica ravvisava una concezione di rivelazione largamente influenzata dalla cultura del tempo. In nome dell’autonomia dello spirito umano si rifiutava infatti di intendere la rivelazione come qualcosa di proveniente dall’esterno dell’uomo. La rivelazione tendeva pertanto ad essere risolta in un’esperienza puramente interiore e, più precisamente, nel sentimento religioso o mistico. In ultima analisi, la rivelazione non sembrava differenziarsi dalla coscienza umana, ma si identificava con essa. Sentimento religioso, fede e rivelazione, sostanzialmente venivano a coincidere.
Questo portava, ovviamente, all’impossibilità di distinguere fra religioni naturali e religione soprannaturale: anche il cristianesimo, come tutte le altre religioni, non è che il prodotto della natura umana. 
La questione del dogma 
In continuità con la nozione modernistica di rivelazione, che si rifà alla nozione di fede intesa come sentimento religioso, emerge la questione del dogma ecclesiastico.
Secondo i modernisti - afferma la "Pascendi" - è il sentimento religioso che fa emergere Dio nella coscienza, ma lo fa emergere in forma indistinta e confusa. Occorre allora l’intervento dell’intelletto che si impadronisce del sentimento e lo elabora in affermazioni concettuali. Le formulazioni che ne derivano costituiscono appunto i dogmi, i quali sono dei semplici simboli o strumenti concettuali. Essi servono al credente come norma pratica in funzione della sua esperienza religiosa. Quando viene meno la loro efficacia in ordine alla vita del credente, devono necessariamente essere modificati in vista di un’efficienza rinnovata. Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica "Pascendi". Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa... Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del Magistero. 
DIFFUSIONE E REAZIONE.
Il modernismo ebbe una diffusione in tutta Europa. Tra i principali esponenti vengono ricordati gli italiani Salvatore Minocchi (1869–1943), Romolo Murri (1870-1944), Ernesto Buonaiuti (1881-1946); l’irlandese George Tyrrell (1861-1909); gli inglesi Maude Petre (1863-1944) e Friedrich von Hügel (1852-1925); i francesi Alfred Loisy (1857- 1940) e Lucien Laberthonnière (1860-1932).

La reazione ufficiale della Chiesa contro il modernismo fu particolarmente ferma: grazie all'attività di una rete di informazione ad hoc, il Sodalitium Pianum, numerosi scritti che sostenevano tesi ascrivibili al modernismo furono posti all'indice e con il motu proprio Sacrorum antistitum, emanato nel 1910, fu imposto a tutti i laureandi delle università cattoliche un giuramento antimodernista in cui, tra le altre affermazioni, si confermava che i miracoli erano segni sensibili adatti a tutte le intelligenze e che i dogmi non subivano modifiche a seconda dei tempi. Nei primi anni sessanta l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sostituì il giuramento antimodernista con la recita del Credo e, nel 1966, fu definitivamente abrogato da papa Paolo VI, durante il Concilio Vaticano II.

In Italia, il personaggio più noto e più erudito era Ernesto Buonaiuti, già alunno del seminario romano e compagno di studi di Angelo Roncalli. Anche Buonaiuti sarebbe stato accusato negli anni successivi di seguire le teorie di Loisy, errori compresi. Avrebbe esposto le sue teorie soprattutto in due opere pubblicate anonime, Il programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi dominici gregis” (1907), e quindi nelle Lettere di un prete modernista (1908).Certamente meno erudito e meno coinvolto negli studi biblico-teologici, ma anche più noto di altri causa il suo prevalente interesse di carattere politico, era Romolo Murri, fedele seguace, a differenza degli altri, di un rigido tomismo, ma molto attento a tutti i fermenti che si andavano diffondendo nei vari settori disciplinari, abile giornalista e conferenziere, e per questo anche più esposto ai richiami e alle condanne. Molti altri personaggi avrebbero agito in Italia in quegli anni, spesso ai limiti dell’ortodossia, e ancora più spesso a rischio di condanna. Possiamo ricordare fra questi padre Giovanni Semeria e Umberto Fracassini, Francesco Mari, Giovanni Genocchi e Salvatore Minocchi.Alcuni di loro, insieme con amici e maestri non italiani, avrebbero tentato di darsi un coordinamento, organizzando un convegno che avrebbe avuto luogo nel Trentino, a Molveno, senza esiti significativi. Anzi, la condanna da parte di Pio X sarebbe arrivata proprio nei giorni successivi al convegno di Molveno, una condanna senza possibilità di appello, presentata in pagine di rara durezza, e che avrebbe avuto come conseguenza una serie di richiami e scomuniche che avrebbero coinvolto anche persone che avevano dato un contributo del tutto positivo al progresso degli studi. In altri termini, si preferì rischiare di condannare degli innocenti, per essere certi di avere punito tutti i colpevoli.
Qui sopra gli effetti dell’enciclica “Pascendi” che ha provocato scomuniche ed allontanamenti dei preti modernisti nelle parrocchie più impervie e sperdute come successe anche a Don Ubaldo relegato a San Vitale.
                            
Ite, Missa est….
Il libro prende la forma di 48 lettere scritte dall’autore a un amico che poi raccolte e catalogate pubblicò in un libro di 180 pagine. Qui sotto l’elenco delle missive.

Oltre alle problematiche relative al movimento modernista, ci sono pagine molto poetiche che raffigurano le nostre campagne bucoliche e serene e ci consegnano pensieri pieni di sentimento.
Dalla lettera 45- chiarimenti.
L’aurora,
dissonnata erbivendola,
lasciato sugli orti il lunare falcetto,
torna a garrula offerta de’ cesti roridi.
Nottambulo smascherato,
il sole torna a ridere,
a due labbra di nuvole,
amiche parole d’oro.

E su dal grigiume di un quartier povero
sale ognora la luna,
irraggiungibile, eterea,
al ballo  de’cieli.

E, spettinate gitane del nord,
ognora le nuvole scendono a schiarirsi e imbellettarsi
negli azzurri solatii nostri.

Dalla lettera 22. la chiesa dei monti

Mattiniero festivo,
ho aperto la piccola chiesa appollaiata sui monti.
Rossastro delle vette e dei pendii,
emergente come una piaga scoperta
sul turgido delle valli:
nelle forre, nivee chiazze ridenti al luccicore d’aprile.
Ho detto:
Muschi e licheni rimargineranno quella ferita
E il biblico ritmo campagnolo
Ristorerà la crisi della mia anima.
Ombre rare, fra le macchie, si sono radunate,
in un rigo lento di formiche umane, lì sul piazzale.
O termometro della civiltà!
Uomini dalle vesti caprine,
scontrosi negli atti,
strani negli accenti tronchi:
i naturali del luogo:
mio gregge divino!

                  








Queste poche pagine della lettera 26, raccontano con una dolcezza incredibile, i primi giorni di maggio, la primavera gioisce nell’aria, e i primi innamoramenti di due giovani pastorelli, e di contro il suo amore verso le nuove idee che si riassume nell’ultima tragica riga…. O povero amore mio, nato-morto, riposa in pace. In queste poche pagine possiamo leggere e comprendere al meglio l’animo poeta di questo prete. Emergono con forza dirompente tutti i suoi delicati pensieri, e la sua straordinaria sensibilità.
In generale le prime pagine del libro trattano della vita nel chiuso dei seminari, dove “Una folla di paperi neri…i giovani preti …vengono istruiti al sommo dovere…a papera senza avere il minimo dubbio o senza la minima interazione personale.



 
 Mentre al di fuori dei seminari il mondo procedeva verso la modernità, con nuove idee, e pensieri,  all’interno tutto veniva taciuto e nascosto soprattutto le nuove idee del modernismo punite poi con l’enciclica di Pio X.

           



Modernismo, sostegno unico della consacrata mia vita…..











                             
CONCLUSIONI

Con questa parziale ricerca, ho voluto dare corpo e forma a un prete di campagna che per anni ha vagato nella mia memoria. Di lui si sono dette molte cose negative, in relazione a una sua condotta poco ecclesiastica, ma quello che più mi premeva conoscere e descrivere era la sua parte intellettuale e spirituale, nascosta a dovere dalla chiesa di allora. Non pensavo di imbattermi in un dottissimo prete che conosceva tutti i principali autori del tempo, che corrispondeva con gli intellettuali modernisti, che collaborava con molte riviste e che aveva una profonda cultura classica e moderna. La sua esclusione dalle principali rotte ecclesiastiche hanno finito per relegarlo in una piccola e sperduta parrocchia marchigiana (San Vitale) dove tutte le sue idee di cambiamento e di modernismo si erano infrante nella millenaria cultura agricola pastorale. La caduta dei suoi ideali di Modernismo, con la conseguente repressione dei suoi rappresentanti, scomunicati e allontanati dalla Chiesa in base alla enciclica di Pio X "Pascendi Dominici Gregis", procurarono in lui un grande delusione verso la strutture ecclesiastiche rimaste ancora al medioevo.
Anche così, riuscì comunque nel suo scopo di dare risalto alle meravigliose cose del creato e le sue pagine che descrivono la primavera e il ritorno dei pastorelli in amore e delle greggi belanti nei prati sono un grande inno alla vita e all’amore. La sua fine tragica, e un po' tutta la sua difficile vita, da prigioniero, ci fanno almeno in parte comprendere quale doveva essere il destino delle persone non allineate al potere che da sempre si esprime nelle forme religiose, politiche ed economiche.
 Dare comunque fiato a una voce ribelle, al Bar-Jona del libro, è un piccolo contributo per ristabilire le vere grandezze di tanti anime costrette ingiustamente al silenzio in un mondo pieno di obbedienti paperi neri e di pecoroni ignoranti.
Che Don Ubaldo perdoni le mie tantissime mancanze e la mia ignoranza riguardo a tutti i suoi scritti e studi. Ho trovato poco e di quel poco ho riportato un niente.


Paolo Faraoni, marzo 2018

© 2018 by Paolo Faraoni 


Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...