4 - Gli insorgenti della Carda occupano Apecchio (1814)

 di Stefano Lancioni


Suddivisione dell'Italia nel 1810 (*)
Nel 1813, dopo la sconfitta francese a Lipsia, gli Austriaci occuparono il napoleonico Regno d’Italia dilagando nella pianura padana e creando nel Montefeltro un “Magistrato governativo della provincia e diocesi feretrana, domini di Carpegna e Scavolino, e diocesi di Sarsina”, con sede a Mercatino di Talamello[1]; contemporaneamente i napoletani di Gioacchino Murat, alleati dell’Austria, occupavano le Marche e, entrati a Pesaro il 3 febbraio 1814, ordinavano di stabilire governi provvisori in tutta la provincia[2]. Si verificarono anche in tale circostanza, come si erano visti nel “triennio giacobino” (1797-1799) vasti fenomeni di insorgenza popolare contro i francesi e i loro aderenti italiani.
Nel gennaio 1814 il fenomeno dell’insorgenza apparve anche ad Apecchio e nel contiguo territorio di Carda. Ricostruiscono la vicenda alcuni documenti, di poco posteriori, il primo dei quali è una supplica dei Pubblici Rappresentanti di Apecchio, inviata nell’estate 1814 a monsignor Pandolfi delegato apostolico:
Eccellenza Reverendissima. I pubblici rappresentanti della Terra di Apecchio, ossequiosamente rappresentano all’Eccellenza Vostra Reverendissima che nel giorno 19 del prossimo passato gennajo anno andante, un drappello di malintenzionati provenienti dalla limitrofa comunità di Serravalle pervennero in questa Terra, e vi esercitarono prepotentemente e con violenza la rapina, rubando precisamente a questa comunità n. 7 fucili, altrettante giberne, ed uniformi destinate da quel governo per uso della così detta Guardia Nazionale, ed inoltre vollero che gli fosse somministrato il vitto per due giorni, e scudi quaranta in denaro contante. Questo drappello, che aveva idea di andare in altri Paesi  per saziare rubando la sua ingordigia, fu respinto e disperso al Piobbico dai soldati destinati pel mantenimento della pubblica sicurezza. Gli individui del suddetto drappello ora cogli effetti rubati se ne vivono pacificamente alle loro case, essendo molti domiciliati nelle comunità limitrofe a  questa giurisdizione, ed altri nelle vicinanze del territorio di Città di Castello fuori di legazione. Sembrando giustissima agli oratori la restituzione dei rubati effetti per mezzo dei suddetti malintenzionati, implorano umilmente dall’Eccellenza Vostra Reverendissima a volersi degnare d’indicare ai medesimi qual regolamento possano tenere per essere rifatti di quelle cose rubategli, tanto più che mancando la suddetta restituzione dei fucili, non possono gli oratori adempiere a quanto viene prescritto dall’editto dell’eminentissimo signor cardinale pro segretario di Stato, in data di Roma 23 scorso giugno[3].
Monsignor Pandolfi ordinò quindi al podestà di Apecchio, Ubaldo Coldagelli, di attivarsi per un’indagine extragiudiziale sul caso (28 luglio). A questo dispaccio il podestà risposte il 2 agosto con una relazione sul medesimo avvenimento, intorno al quale chiedeva più precisi ordini a Sua Eminenza: 
Prima di porre mano all’incarto stragiudiziale ordinatomi dall’Eccellenza Vostra Reverendissima col venerato dispaccio 28 scaduto luglio sul fatto esposto da questi Pubblici Rappresentanti nel memoriale che qui rispettosamente compiegato ho l’onore di ritornarle, stimo necessario di porre in più vero aspetto il fatto medesimo per ottenere quindi all’Eccellenza Vostra Reverendissima quegli ordini più precisi che crederà confacenti al caso.
Da più di due anni a questa parte un certo Benedetto Dei di Arezzo impiegato prima, per quanto mi si dice, nelle Finanze della Toscana, e perseguitato in seguito dai tribunali esteri, capitò nel vicino territorio di Serravalle di Carda, facendosi chiamare col mentito nome di Fortunato. Sotto il manto di religiosa pietà seppe  costui così bene imposturare che giunse ad allucinare due dei migliori e più illuminati parrochi di quel contorno in guisa che ottenne da essi, e nelle rispettive loro parrocchie refugio, soccorso e protezione. Fissò ivi la sua dimora vivendo delle altrui somministrazioni, e facendo scuola a dei fanciulli, e seppe così bene mascherare la sua condotta con affettate penitenze, digiuni, ed orazioni, che arrivò ad essere tenuto comunemente per un sant’uomo. Scoppiata però nello scorso governo l’insorgenza del Monte Feltro, cangiò esso improvvisamente d’aspetto, e divenne uomo d’armi. Spacciandosi commissario del generale austriaco Sommariva per la formazione d’un corpo dei volontarj, conforme risultò dagli editti da esso pubblicati, tanto disse, e tanto operò che alla fine  pose insieme circa cinquanta contadini armati, quasi tutti del territorio suddetto di Carda e ben pochi dei limitrofi territorj di Città di Castello e di Gubbio. Questo drappello guidato dal suddetto Dei, e da altri capi subalterni da esso stabiliti, si portò prima in Serravalle, ove commise  varie violenze e ruberie,  e quindi si recò in questa terra, ove dalla comunità si fece fornire di vitto per due giorni, e si fece consegnare a viva forza sette fucili, ed altrettante cinture e giberne, nonché la somma si scudi quaranta in denaro, conforme veridicamente esposero nell’anzidetto memoriale dei Pubblici Rappresentanti. Passò finalmente il drappello stesso al Piobbico, ove fu dalla pubblica forza sorpreso, e dissipato, e ciascuno degl’individui che lo componevano ritornò alla propria casa. Pubblicatesi in appresso le disposizioni risultanti dalla stampa, che credo opportuno umiliare all’Eccellenza Vostra qui compiegata, ripristinatosi quindi felicemente il governo pontificio, ognuno degl’individui suddetti, ha continuato sempre a godere senza perturbazione della sua tranquillità ed insieme del frutto risultante delle commesse ruberie. Il capo  Benedetto Dei, invece di ritornare alla sua patria, dimora tuttora nel precitato territorio di Serravalle di Carda nella casa di un contadino alla distanza di due miglia circa da questa terra. La sua condotta però non è più quella del sant’uomo, ma tutta diametralmente opposta, di modo che per la sua diffamazione ed oziosità e per altri  suoi condannabili portamenti, se avesse fissata la sua dimora in questa giurisdizione, lo avrei denunciato all’Eccellenza Vostra Reverendissima per uno di quelli colpiti dalle provvide  disposizione portate dall’editto del 9 scaduto luglio[4].

L'abitato di Apecchio com'era ai tempi in cui si svolsero i fatti raccontati nell'articolo (**)
Possiamo inoltre ricordare che, nello stesso 19 gennaio gli insorgenti saccheggiarono anche la ricettoria di Finanza di Osteria Nuova: furono lasciate nel locale alcuni oggetti e ne furono asportati diversi altri, alcuni dei quali furono venduti dai briganti stessi. Ne parla una Nota degli effetti mancanti che esistevano nel posto di Osteria Nova di Apecchio, venduti dai briganti ai seguenti individui nel giorno 19 gennajo 1814, allegata al Verbale della magistratura formata in base all’ordinanza di monsignor Pandolfi dell’8 maggio, riunione del 13 maggio. Vennero in particolare asportati due materassi ripieni di lana di prima classe comprati da Giuseppe Sansuini del Palazzo per scudi 2.20; un guanciale di lana fu comprato da Giuseppe Illarj per 0.20; uno detto fu portato via dall’oste di Serravalle; due paglioni, con due fondi di  letto, cioè tavole e trespoli furono portati via dai Francesco Ghigi; un ferro, che sosteneva la stadera, ed altro, che regolava il braccio fu comprato da Parlani Sante per scudi 0.07; una graticola fu portata via dalla guardia Bacci di Mercatello; due coperte schiavine furono comprate da Agostino Palleri di Cerigiolo perl prezzo di scudi 1.60. Rimasero in loco e furono quindi diligentemente inventariati i seguenti oggetti: un tavolino con tre cassetti e serrature ma con due chiavi soltanto, una sconcia con due credenze, una stadera di ottone, un materasso,  un guanciale, un paglione, tre tavole, due trespoli, una coperta, cinque lenzuoli laceri, due grappe ed un braccio di ferro che sostenevano lo stemma, uno spiedo[5].
Suddivisione dell'Italia dopo la restaurazione del 1815 (***)



[1]Allegretti, Piandimeleto, pp. 121-122; G. ALLEGRETTI, Il dopo Medioevo, in G. Allegretti e F.V. Lombardi (a cura di), "Il Montefeltro",vol. II (Ambiente, storia, arte nell'alta Valmarecchia), Villa Verucchio, 1999, pp. 146-216, a pag. 189.
[2]Allegretti, Note, p. 97; Nicoletti, Pergola, p. 303.
[3]ASP, Regno d’Italia, Lettere delle Comunità: b. 1, supplica dei Pubblici Rappresentanti, non datata (luglio 1814).
[4]ASP, Regno d’Italia, Lettere delle Comunità: b. 1, lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, Apecchio, 2 agosto 1814.
[5]ASP, Regno d’Italia, Lettere delle Comunità: b. 1 (Acqualagna, Apecchio, Barchi), 1814-1816. 


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Referenze iconografiche:
(*) Fonte: "Italia 1810" di Original uploader was Eltharion at it.wikipedia - Transferred from it.wikipedia. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
(**) Fonte: ASP  Mappe Catasto Pontificio. Copia della mappa originale di Appecchio. 
(***) Fonte: "Italia 1815" di user:bramfab modified from User:Artemka - modified image from https://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Risorgimento.gif?uselang=it. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.
 

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